vuoto

Vuoto, non solo tra le dita
e sento di essere come una scatola
che non ha più voglia
di esser riempita.
Riponetemi in soffita
e lasciate che la polvere
sia l’unica a baciarmi,
a blandirmi il corpo.
Lasciate che la mia fibra,
un tempo di legno buono,
ora venga abitata da tarme.
Involucro,
riempitemi di foglie.

mi guardo da fuori

Mi guardo da fuori
e vedo una donna folle,
cresciuta tra paura e speranza.
Una donna forte anche,
capace di andare oltre se stessa.
Vedo una donna e i suoi timori
e la piacevelezza di assoporare
la nudità della sua anima.
Questa è follia?
Se è così,
fate in modo
che sia intorno a me tutti i giorni,
fate in modo che mi leghi tutta,
tranne le mani.

La tua bocca,
quella non la ricordo più.
Non ricordo i tuoi baci,
il sapore della tua lingua,
il fastidio della tua barba.
Questo è doloroso.
Perché mi piace ricordare
quello che oggi fa poco male.
Provo ad entrare nella memoria
cercando con affanno un ricordo
che mi lasci in bocca
il sapore di una lontananza.

presi un treno

Presi un treno
per venire a trovare i tuoi occhi.
Ti cercai in una stazione vuota
e ti riconobbi subito
nel viola della tua sciarpa.
Imbarazzata mi accesi una sigaretta
che avrei voluto non finisse mai.
Un abbraccio poi,
quel non guardarti e già volerti.
A ripetizione ci amammo
e ci lasciammo,
un giorno a Roma,
anzi tre, o quattro?
Ho smesso di contare
sulle dita la tua (pre)as(senza).

è consolatorio

E’ consolatorio
questo accompagnarsi a vicenda
nelle paure e nei sogni.
Sapere che mentre tu respiri
qualcun altro non ha aria,
ed il contrario.
E’ consolotario
questo intrecciarsi a vicenda.
Occhi diversi, diverse mani.
Non sapere chi siamo
e scoprirlo solo prima di morire.

ad un tratto

Ad un tratto
sedemmo in quattro.
Ricordo ogni momento
di quelle due serate.
La mia memoria
non dimentica mai.
Di quel giorno
ricordo l’aria dei boschi,
quattro cuori
e un vino versato.
Sì, sorridete, mentre io piango per voi.
Il mio nome è Empatia,
quella bestia
che mi accompagna da sempre.
Se fossi Dio
ricongiungerei le vostri mani.

roma vista da lontano

Roma vista da lontano,
nell’immagine di quattro occhi.
Roma ladra dei nostri cuori,
schiava di noi.
Perché eravamo belli
passeggiando sul lungo tevere,
tra i canneti e l’immondizia,
la natura e il vissuto.
E manca un altro verso
per chiudere il passato.
Ma passato cos’è
se sei ancora lì con me?

le parole non dette

Le parole non dette
sono quelle che mastico lentamente
assaporandole
fino ad ingoiarle e sentirne un gusto agrodolce.
Le parole non dette
sono quelle che ascolto da lontano
nell’angolo nascosto della mia testa,
esplodono ed implodono nel mio udito.
Le parole non dette
sono quelle che vedo già scritte
su un foglio
e si ricompongono da sole
alla mia vista.
Le parole non dette
sono quelle che annuso sul tuo corpo
vive di me/te/ora.
Ho l’olfatto che sa di noi.
Le parole non dette
sono quelle ancora non toccate
ma che sento già tra le mani,
che hanno tatto di te.

e una luce prese posto

E una luce prese posto
nel nostro conoscerci,
come le mani
che accarezzano per la prima volta
i tasti di un pianoforte.
E una luce prese posto
nel nostro incontrarci,
come una madre
che abbraccia per la prima volta
il suo bambino.
E una luce prese posto
nel nostro addio,
come due estranei
alla fermata di un autobus.

due di noi

Due di noi
personali in forme.
Sagome di vite differenti.
Distanti nella carne
ma nelle vicinanze l’anima.
Sostegno impercettibile
non sfiorabile dalle mani.
Due di noi, siamo noi.
Due di noi simili a nessuno.

a penzoloni sulla parete bianca

A penzoloni sulla parete bianca
bucherellata di chiodini
e crepe informi.
Orme nella memoria,
sanguinanti prima,
poi cicatrizate.
Ricordo la carne viva,
le piaghe e il friggere nell’acqua.
Non trascuravo nulla
tra il rosa del raso
e le punte di gesso.
Oggi non dimentico,
compio un altro giro
su me stessa,
su quel gesso
ormai sfatto e morto.
Nella memoria e nell’anima
gioia e libertà vissuta.

cammina con passo svelto

Cammina con passo svelto,
ogni giorno alla stessa ora.
Non si ferma mai,
non perde un secondo,
è amica del tempo.
Puoi vederla ovunque:
sui tram, in un parco,
negli occhi della gente,
nei loro passi svelti.
Qualcuno le da uno strattone,
altri le sputano in faccia.
In pochi le sorridono.
Pochi la ringraziano
per il suo essere Esistenza.
E’ la vita: la Vedova Bianca.
Vedova della gente che non la merita,
di coloro che si lasciano sfuggire
gli attimi
che lei stessa dona.

tenero arbusto

Tenero arbusto
e infantile radice giocosa.
Avidità del crescere
a dismisura.
Accudita e preservata dal dolore.
Insegnamenti di linfa.
“Le due radici cresceranno piccola mia.
I tuoi rami saranno forti
come quelli di tuo padre
e del verde avrai le mie foglie.”
Poi la morte
di chi mi ha dato la vita.
Sola mi ritrovo,
avvolta da colori che non mi appartengono.
Ricordo le parole da principio apprese.
Ebbi una crescita forzata,
da germoglio solitario.
In disparte credevo,
accettavo per buona la realtà.
Terreno fertile,
sterile dopo.
Gravida di vermi,
senza corteccia muoio.

fammi del male

Fammi del male,
fallo ora,
fallo tu.
Mischia
quella macchia malata
che vedi nei miei occhi
e fanne un quadro
che terrai per te
e chiamalo “Segreto”.
Custodiscilo
tra i serpenti velenosi
del tuo intimo.
I tuoi occhi
lo guarderanno ogni giorno
e vedranno l’inferno
per cui abbiamo vissuto.

il nemico

Il nemico
che in questi giorni mi fa compagnia
mi alimenta l’essenza
che credevo persa.
Il nemico
che elabora i pensieri
impasta i ricordi
di mesi trascorsi a prediligere
qualcosa che non è ancora maturo.
Il nemico
di un’eleganza ancora da spogliare
è dietro l’angolo a spiare.

la peste

La peste
in un angolo nascosto
da cercare e stanare.
La peste
che mi dilata le pupille
e mi limita nel potere.
La peste
inconsapevolmente
nella distanza
mi induce ad una cura
che non fu mai scoperta.

ho il corpo nel fango

Ho il corpo nel fango,
esile ossatura
si contorce
ad ogni mio pensiero.
Gli occhi
ricoperti da perle schiuse
schiumano della tua saliva.
Le mani tremano
e mi volto
in questo letto immaginario,
piangendo lacrime
che non scendono.
Perché la morte dell’amore
sarà l’inizio della mia vita.

piena di te

Piena di te
e fuori la pelle sbircia,
si separa
dall’esigenza di privilegiarti
in questo viaggio a senso unico
e alternato a tratti.
Mi affaccio
seppur timida
verso vedute vergini,
portandomi
ancor non stanca
e seppur con speranza
nel posto che devo ancora incontrare.
Piena di te
oggi ti oltrepasso.

divoro il tempo

Divoro il tempo,
compagno di sempre
scrutatore dell’avvenire.
Tempo che non c’è
che ci sgranocchia lentamente
e domani.
Domani guardami negli occhi
e con i tuoi occhi
vedi in me il tuo sguardo.
Tempo che vorrei sfumare
e tu
mio amato
continua a mangiarmi
e saziati
prima che sia niente.

mi spogli in questa notte

Mi spogli in questa notte,
con gli occhi mi sbucci lentamente
come una nespola d’Estate.
Fai del mio succo
il tuo nettare migliore,
lo conservi con cura
come le api con il Miele.
Il cielo è turchino,
sorveglia il nostro nodo
che sul bianco di un letto
si scioglie e ricompone.
Le stelle,
invidiose del nostro splendore,
spariscono
e lasciano spazio alle tenebre.
Così,
in compagnia di Nuvole Nere,
raggiungiamo insieme il Sole
che da lontano,
schiavo,
si inchina al nostro cospetto.
Ora,
dopo quest’esplosione di larve informi
non ci resta che il Mare
per le abluzioni
che ci ripuliscono
costantemente
del nostro Piacere.

sbircio con sguardo alieno

Sbircio con sguardo alieno
l’invocazione dei tuoi occhi,
dolci mandorle da sgusciare.
Mi regali il Paradiso
in uno sguardo.
Ti intrufoli con garbo
tra la mia pelle,
ti aggrappi alla mia carne
e ne fai ciò che vuoi.
Delicatezza e forza insieme.
E’ voglia di noi
che richiama le Nuvole al Cielo,
il Fuoco alla Terra.
Le tue mani
tra i miei capelli.
Nervosa lussuria.
Ciecità del tatto,
occhi sbarrati
di un orgasmo imminente.
Mi penetri con riservatezza
tappandomi la bocca.
Sono Tua
dalla schiena in giù.
Sono Tua
nell’Inferno.

e al crepuscolo

E al crepuscolo,
tra vergogna e tenerezza
tra confusione e commozione
tra malattia e angoscia
tra croce e ossessione
tra spina e petalo
io
Disordine di Donna
controsenso all’idiozia
insanamente
celebro un sacrificio alla Memoria,
nei silenzi di queste notti
che la Polvere
non portò più via.

con delizioso tremore

Con delizioso tremore
che dalla bocca si accomoda in gola,
assaporo questo dono
che mi viene concesso.
Bevo con leggerezza
il sangue che come cascata ,
all’orizzonte occhieggio.
Come una bambina felice ,
già pregna di sfizi ,
sfrego le mani,
dipingendo un quadro astratto
dove il colore più bello
è la mia morte.